La prova d’orchestra


Un austero spazio vuoto, un’arpa abbandonata, una fila di leggii sospesi nel silenzio. Finalmente compare una presenza umana: è un vecchio, minuto signore. Regge tra le mani qualche spartito. Cammina avanti e indietro per la stanza, divertendosi a saggiarne l’acustica con versi e rumori sottili: quello spazio sacro, un tempo adibito ad oratorio di un antico monastero, oggi è un piccolo tempio della musica.

La prova d’orchestra sta per avere inizio: l’uomo sistema delicatamente le parti sui leggii, i primi orchestrali fanno la loro comparsa tra le file di sedie ordinate, ed ecco che poco a poco quello spazio asettico si trasforma come d’incanto, riempiendosi della loro presenza.


Si apre così la suggestiva e meno nota pellicola felliniana “Prova d’Orchestra”, omaggio al mondo musicale del regista nostrano che meglio di ogni altro ha saputo abituarci al sogno, alla capacità immaginifica della macchina da presa. Ed è così che ci piace fotografare nella nostra mente la sintesi di un’ideale giornata di prove orchestrali.
Ma se davvero ci aspettavamo che la prova d’orchestra fosse una specie di rituale sacro da compiersi in un clima mistico ed ossequioso, è lo stesso regista a deluderci poco dopo, quando l’illusione di uno spazio inviolabile cede il passo ad una realtà decisamente caotica. Basta lasciar scorrere di poco la pellicola per ritrovarsi di fronte ad un’invasione di musicisti chiassosi, affaccendati in attività tutt’altro che artistiche: c’è chi spolvera la sua sedia borbottando, chi inganna l’attesa con un cruciverba, chi è più interessato alla partita di calcio che alle note, e si è portato alle prove una radiolina per seguire il match in diretta; chi rimira con occhi famelici il suo panino alla mortadella, e concedendosi un anticipo sulla pausa pranzo, lo addenta senza pietà. Subito dopo qualcun altro fa scoppiare una lite furibonda per futili questioni legate alla posizione di un leggio.
Un’orda di barbari più che una compagine orchestrale, verrebbe da pensare.
La situazione sembra ormai fuori controllo quando uno dopo l’altro tutti i musicisti inscenano con gli strumenti un caos primigenio di stridori ed altri suoni strazianti, e precipita del tutto di fronte alla sommossa dei vertici sindacali dell’orchestra, che al grido di slogan politici rivendicano a gran voce i diritti salariali del musicista.

L’atmosfera dipinta dal film di Fellini è quella di uno scenario caotico, sregolato e anche un po’ volgare: insomma, una realtà tutt’altro che ordinata, come vorrebbe l’immaginario comune quando si parla di “disciplina orchestrale”.
Viene quindi da domandarsi cosa si celi veramente in questo back-stage: se non rigide prove condotte in un silenzio forzato sotto la scure di un Direttore austero e un po’ tronfio, che cosa?

Bene, noi vi possiamo raccontare quello che succede alla Corelli: la “nostra” prova d’orchestra, come l’avremmo girata noi.

Scena uno – esterno giorno: è da poco passato l’Equinozio di Primavera (sì: tra tutte le possibili opzioni, abbiamo scelto una di quelle giornate di prove in cui l’aria olezza di fiori, e si è tutti un po’ più spensierati e un po’ più allegramente fiacchi). Siamo a Ravenna, città dal fascino solenne e dal piacevole centro storico, in cui il semplice circolare e parcheggiare si tramutano presto in operazioni di natura complessa, aspetto questo che non manca quasi mai di destare un vago ma non trascurabile disappunto in coloro che, arrivando da fuori, (cesenati, forlivesi e faentini sono le tre grandi delegazioni corelliane) non possono raggiungere la sala prove a bordo di una semplice, ecologica e pratica bici.

Ma eccoci finalmente giunti dentro alla sala prove: non si tratta quasi mai di un antico monastero, né di un pregevole sito culturale. Eppure a ben vedere quello spazio semplice, a volte scalcinato, a volte un po’ ristretto, a volte troppo caldo o troppo freddo -o saturo di quei vapori che sono il frutto della naturale respirazione e traspirazione, che nell’artista performativo si esprimono a livelli proporzionali all’enfasi della performance stessa- ecco che quello spazio, dicevamo, a ben vedere si trasfigura, evapora anch’esso.
L’atmosfera di una prova in un pomeriggio di primavera non è affatto imperturbabile: la realtà ci racconta di ritardi e rimproveri, bisbigli, schiamazzi, pause caffè che si protraggono oltre gli orari stabiliti, e poi imprevisti, imprevisti e ancora imprevisti.

Gli ispettori orchestrali scrutano severi gli ultimi arrivati: c’è chi ha perso il treno, chi non trovava parcheggio, chi doveva passare a prendere il collega che aveva perso il treno perché non aveva trovato parcheggio. L’archivista analizza minuziosamente le parti con l’occhio certosino di chi ha tutto sotto controllo (salvo qualche accidente finito chissà come fuoriposto, che suscita i sonori: “Accidenti!” del direttore d’orchestra, costringendo il malcapitato esecutore a porgere le sue pubbliche scuse, mentre i colleghi smettono di suonare e si girano verso di lui, sconcertati).

Contingenze, banalità, disordini quisquiglie: come spiegare quindi ciò che di straordinario avviene quando improvvisamente lo spazio della sala si annulla, quando finalmente ritmi sbandati e moti imperfetti di ogni singolo individuo vengono attratti e armonizzati nell’unico grande movimento dell’onda musicale? Sarà senz’altro la sensibilità di questi orchestrali, il loro affiatamento nella musica e nella vita a farli andare insieme. Sarà la bacchetta sapiente del loro direttore, giovane capitano valoroso, così avvezzo alle tempeste. Sarà l’affinarsi di una tecnica antica, studiata, appresa, continuamente esercitata nel chiuso di quella sala.

Eppure no, tutto questo non basta a spiegare il miracolo di trasfigurazione armonica degli elementi che si compie quotidianamente in orchestra.

È che c’è qualcosa là, oltre la superficie delle cose: qualcosa di nascosto, come una sorta di spirito invisibile che guida le intenzioni di chi suona insieme. Come una tacita legge che si rinnova ad ogni nuova prova d’orchestra, e che fa della prova stessa una prova su se stessi. Bisogna riconoscere questa legge, accoglierla, servirla.


Finale – interno giorno: la nostra prova d’orchestra per oggi è terminata. Un’accozzaglia di note alla rinfusa è appena rinata sotto forma di una suggestiva armonia. E mentre fuori dalla sala prove torna ad accoglierci la primavera ravennate, anche l’aldiqua è rinato sotto una nuova luce.

Gemma Galfano