Una domanda apparentemente innocua, ma dai retroscena spinosi. Ce la siamo posta, e ritrovandoci – per dirla alla francese – in un autentico cul de sac, abbiamo dovuto girare la questione a qualcun altro. Ansiosi di sbrogliare l’intricata matassa, abbiamo pensato di sbrigarcela con un paio di domande mirate da rivolgere direttamente all’entourage di Opera in Villa 2015: chi meglio di loro – che nell’Elisir sono letteralmente affogati – poteva indovinare la risposta?
…Certo non potevamo azzardarci a disturbare il regista Simone Marzocchi: ultimamente lo abbiamo visto chino giorno e notte sulle scenografie. Di più: lo abbiamo visto aggirarsi per il backstage nelle sembianze di un autentico quadro ambulante, cosparso da cima a fondo di colore e di pittura. Il direttore Jacopo Rivani, dal canto suo, dicono sia in preda ad una sindrome di Stendhal di carattere operistico: esegue a memoria le parti di tutti i cantanti e il libretto di Felice Romani è diventato il suo nuovo repertorio argomentativo, a cui attinge ormai senza esitazione od imbarazzo nelle sue normali conversazioni quotidiane.
Insomma, non restava che rivolgersi al cast dell’opera, approfittando di qualche pausa o cambio di scena.
Incauti come sempre, e arditi amanti delle situazioni difficili, la nostra scelta è ricaduta su quello che è un personaggio tra i più controversi della sfera femminile donizettiana (ma è anche la prima che ci si è parata davanti frugando nel backstage).
E così la domanda l’abbiamo fatta nientemeno che ad Adina: la sprezzante, l’incostante, la volubile, l’imprevedibile. La sua portavoce ufficiale in questa brillante produzione è il Soprano Giorgia Paci, che da brava interprete è diventata ormai la perfetta impersonificazione del suo personaggio dentro e fuori il palcoscenico, come vuole l’antica legge del Teatro (…ma forse si assomigliavano già un pochino “pure prima”, ci suggerisce lei).
Ora, di primo acchito non è che risulti proprio simpaticissima ai più, questa Adina (..la Paci invece lo è!). Di lei colpiscono semmai l’audacia, il carattere e quella che potremmo definire con un eufemismo “l’eccessiva fiducia in se stessa”. Insomma, Adina “se la crede assai”, al punto che la vedremmo più bene nel business del life-coaching e delle lezioni di autostima. Ma si da il caso che la nostra non abbia alcun bisogno di arrotondare, essendo anche una ricca proprietaria terriera!
Di fronte a cotanta giovine, il suo povero spasimante Nemorino appare inevitabilmente goffo e inadeguato, con quei suoi modi sempliciotti, il fare ingenuo e l’aria spaesata da innamorato perso, o che insomma, non ha più niente da perdere.
Poi c’è Belcore, il guastafeste, un altro che “se la crede assai” e che per carattere, portamento e fama, è in grado dalla prima apparizione di far scomparire, letteralmente, il suo impacciato rivale in amore.
O almeno, così dovrebbe essere. Se non fosse per il quarto personaggio della serie, un personaggione: l’eccentrico, sfacciato, geniale Dulcamara, che meglio di un imbonitore televisivo riesce a conquistarsi la fiducia delle folle, guidando di fatto le sorti del destino con il suo mirabile liquore, l’elisir d’amore, quello di cui stiamo cercando da settimane la ricetta (e siamo molto vicini a carpirne l’ultimo segreto).
Adina, Nemorino, Belcore, Dulcamara: chi di loro è dunque il protagonista dell’Elisir d’Amore?
La nostra Soprano se n’è già andata da un pezzo: smarriti nelle nostre elucubrazioni abbiamo perso la cognizione del tempo, e la fretta dei cambi scena ha avuto la meglio sulle nostre meditazioni. Ci ritroviamo così tra noi e noi, a dover cercare da soli una risposta plausibile.
Ma in fondo le risposte originali ci sono sempre piaciute molto di più di quelle plausibili. E in uno slancio di originalità ci piacerebbe arrivare a dimostrare (e lo dimostreremo) che in tutta questa bellissima storia, fresca e semplice ma anche ricca di risvolti inattesi, il protagonista vero non è che l’Elisir: etereo, impercettibile, astratto eppure così presente al punto da permeare ogni trama del fitto racconto. Magico e incomprensibile diffonde i suoi effluvi, scendendo come una benedizione sui destini di tutti.
Più simbolico che tangibile, l’Elisir non è che la grande, dolce, inebriante metafora dell’amore beffardo, che incurante di ogni ragionevole aspettativa, irrompe improvviso innamorando, e lascia tutti di stucco.