I Carmina degli equivoci: la smodata fortuna di “O Fortuna” tra cinema e tv. Ovvero: quando una parte fa dimenticare il tutto.

– Guida all’ascolto del ciclo orffiano (e alla scoperta dei restanti 23 quadri dei Carmina Burana) –

 


Tutto ciò che ho scritto finora, e che è stato pubblicato, può essere distrutto. I miei lavori iniziano con i Carmina Burana”.

Carl Orff

Carl Orff

Così scriveva ai suoi editori Carl Orff nel 1937 alla vigilia del debutto della sua più grande opera, destinata ad una trionfale accoglienza sul palcoscenico della Staatsoper di Francoforte.
“Canzoni profane per voci soliste e coro, con accompagnamento orchestrale e scene fantastiche” recitava il testo latino di presentazione della cantata scenica firmata dalla penna del musicista bavarese, noto soprattutto per aver fondato un metodo di insegnamento basato sull’impiego dei più disparati strumenti a percussione, e giunto fino a noi sotto il nome di Orff-Schulwerk. Ed in questa sua opera, meglio nota come “Carmina Burana”, di strumenti a percussione Orff ne mise a decine: timpani, casse chiare, grancassa, triangolo, piatti, cymbali antichi, tam-tam, raganella, nacchere, sonagli, campane tubolari, campane da chiesa, glockenspiel, xilofono, tamburello.

Dai film agli spot televisivi ai dj-set, i Carmina Burana hanno avuto un destino decisamente POP. Ma a dirla tutta l’enorme fortuna dell’opera è toccata soltanto al brano capofila dei 23 musicati da Orff: “O Fortuna”, appunto (che poi non inneggia affatto alla fortuna volgarmente intesa: anzi, è una lamentazione in piena regola sui percorsi indecifrabili e spesso avversi del fato). Una popolarità sfociata in una specie di grande equivoco planetario o errata equazione (o “sineddoche musicale”, come ci piace definirla) che ha fatto sì che nell’immaginario collettivo quel singolo brano abbia finito per rappresentare, riassumere e definire l’intero ciclo dei Carmina Burana, di cui la maggioranza della gente ignora il seguito.
Per fare un esempio più vicino a noi, è un po’ come quando sul mercato esce il singolo di un nuovo cantante, sul cui appeal i discografici decidono di puntare tutto: lo sentiamo passare in radio infinite volte, poi entra negli spot, nei jingle e nelle sigle dei programmi televisivi, o nella colonna sonora di qualche film, fino a saturare ogni angolo dell’etere e a diventare la nuova hit del momento, assumendo di fatto un’identità propria, spesso a discapito della restante discografia dell’autore, che rischia di scomparire all’ombra del nuovo cavallo di battaglia.
Nel caso dei Carmina Burana, “O Fortuna” ha avuto la meglio su tutta l’opera orffiana: secondo i nostri calcoli, il brano è presente in oltre 50 tra film, programmi televisivi e spot pubblicitari, guadagnandosi a buon diritto il titolo di pezzo più [ab]usato nella storia dei mass-media. Tanto per fare alcuni esempi, lo ritroviamo nei primi anni ’70 come sigla dello spot britannico di un famoso dopobarba; nel 1981 è usato per accompagnare la cavalcata di Re Artù nel film Excalibur; nel 1990 lo ritroviamo in un horror canadese di bassa lega intitolato “I Gargoyle”; nel film sui Doors è usato per raccontare la tossicodipendenza di Jim Morrison; nel 1992 accompagna “L’Ultimo dei Moicani”; nel 1999 lo ritroviamo in “South Park”, e ancora in un episodio dei “Simpson”. Non si contano poi le decine di telefilm, cartoni e serie-TV in cui continuiamo a ritrovarlo fino ai giorni nostri: il brano è stato arrangiato, parodiato, rimaneggiato, contaminato, a volte decisamente profanato, come nel caso del techo-gothic-metal-punk-remix che se ne fece nei ruggenti anni ’90, quando Orff entrò suo malgrado nelle discoteche di mezzo mondo finendo per spopolare tra le migliaia di giovani accalcati nel delirio stroboscopico e sudaticcio delle piste da ballo. Insomma, vuoi l’enfasi, l’incedere epico, la strumentazione poderosa, il tono apocalittico, “O Fortuna” ha trovato spazio ovunque le necessità di copione richiedessero un momento ad alto tasso di suspense, drammaticità e cataclisma.
Oggi, alla vigilia della rappresentazione dei Carmina Burana nella magica cornice del Teatro Duse di Bologna, vogliamo sfatare il mito di “O Fortuna” e riabilitare l’intero ciclo di Orff presentandolo a tutti voi che il 27 ottobre prossimo avrete il privilegio di ascoltare dal vivo questa pietra miliare della musica corale.
Amerete gli intrecci dello straordinario corpus di antichi scritti medievali che Orff ha saputo rendere, grazie alla sua musica, materia viva ed eterna. La potenza di questi testi, che sotto la patina della frivolezza celano riflessioni universali sull’amore, il destino e l’esistenza umana, si sprigiona attraverso la ricca strumentazione scelta dal compositore bavarese ed un massiccio apparato sonoro affidato ad oltre un centinaio di artisti distribuiti tra orchestra e coro: come una gigantesca onda, capace di infrangersi in moti di calma inattesa per lasciare spazio all’uso cristallino ed intimo delle voci femminili, che narrano con sommessa dolcezza l’alternarsi delle stagioni e dei sentimenti.
Passando in rassegna i brani scelti da Carl Orff all’interno della raccolta del Codex Buranus, ci imbatteremo di volta in volta in canti satirici, morali, liriche amorose in lingua latina e tedesca e nelle canzoni conviviali che accompagnavano le feste ed il vino: su tutta la narrazione aleggia dall’alto la Fortuna, vera ed unica artefice del destino degli uomini sulla Terra. Un’autentica enciclopedia di vita a cui Orff sa attingere restituendole contorni di vivida bellezza in un meraviglioso caleidoscopio musicale.
Il ciclo si apre con “O Fortuna”, invocazione alla dea che regna sul mondo e sulle sorti degli individui ora elevandoli, ora schiacciandoli nella grande ruota del destino con il suo andamento incostante e volubile. Il secondo numero, “Fortunae plango vulnera” è una ancor più cruda rappresentazione del fare capriccioso del destino, e si chiude con un monito ben preciso: quello di non illudersi mai in tempi di prosperità, vegliando sempre affinché la caduta non ci sia fatale. Si apre quindi la sezione intitolata alla Primavera: un potpourri di brani dal sapore ora ludico, ora sognante, e tutti accomunati dal tema del risveglio della natura e dell’amore fisico, motivi spesso affidati al coro piccolo, che canta in latino e in tedesco. L’undicesimo brano, “Estuans Interius”, ci introduce alla sezione successiva del ciclo, quella dedicata ai canti triviali del gioco e del vino: qui si narra delle intemperanze umane, dell’ebbrezza e dell’oblio, antidoti passeggeri al peso insopportabile delle miserie terrene, capaci di allontanare per qualche breve istante il giocatore e il bevitore dalla consapevolezza del loro destino. Si torna a parlare d’amore nella terza parte della cantata: è qui che i Carmina toccano i vertici del lirismo, con gli interventi affidati ai solisti che cantano l’estasi e il tormento degli amanti nell’attesa dei loro amati. Il crescendo espressivo del finale culmina nel tripudio di “Ave formosissima”, inno alla vita e alla bellezza, definita “luce del mondo”. Una bellezza personificata nelle vesti di “dea”, “gemma preziosa”, “perla delle vergini”, la cui esaltazione deve però cedere il passo ad un nuovo monito sulla caducità delle cose umane: ecco risuonare, potente e fragoroso, il coro sinistro di “O Fortuna”.

Nei Carmina Burana è così riassunta a tutto tondo la vita, con lo scorrere del tempo e delle età sotto l’incedere costante del fato.
E proprio in questo risiede l’incredibile forza narrativa di quest’opera: non ci sono personaggi ma solo persone, e i messaggi di monito che ogni testo ci lancia sono rivolti proprio a noi che stiamo ascoltando, spettatori più o meno consapevoli dell’essere e del divenire.

Allacciate le cinture e partite con noi per questo incredibile viaggio: siamo certi che vi catturerà.

Gemma Galfano